C’era una tensione enorme in casa, e per sopportarla ci concentravamo sui ragazzi

Raccontaci tua storia: quanti anni hai, dove vivi, quanti figli hai, com’è stata la tua relazione.

Ho 57 anni, abito in provincia di Milano, e sono cresciuto in una famiglia operaia onesta, dove abbiamo sempre lavorato molto. Sono andato ad abitare da solo a 29 anni e ho avuto diverse vicissitudini amorose: ho passato un po’ di tempo con delle compagne un po’ matte… In seguito, ho fatto un paio di esperienze come volontario in Africa, e lì sono rimasto un po’ isolato per un certo periodo.

Al mio ritorno in Italia ho comprato una casa del 1900 completamente da ristrutturare; io e mio padre ci siamo divertiti a fare un sacco di lavoro per sistemarla. A 35 anni ho conosciuto quella che poi è diventata mia moglie: era una ragazza acqua e sapone, che dopo due anni mi ha chiesto più volte di sposarmi. Io ho 11 anni più di lei, e all’epoca avevo un po’ di esperienze più importanti delle sue, e perciò avevo paura di essere troppo vecchio per lei. Le dicevo di aspettare ancora un po’ di tempo; ma lei mi amava ed era contenta, tra di noi c’era un bel sentimento: era una relazione molto serena. Ci siamo guardati negli occhi, e io alla fine ho ceduto ben volentieri. Ci volevamo molto bene, avevamo messo delle basi abbastanza coerenti: l’idea principale era di fare dei figli, ma che se non fossero venuti li avremmo adottati. Io volevo convivere, lei voleva sposarsi, e alla fine ci siamo sposati, anche per accontentare i genitori. Ci siamo sposati molto velocemente, con solo 20 invitati, e abbiamo chiesto a tutti gli amici di contribuire per il posto dove ero stato in Africa: la ruota di un trattore, e un dono per un prete che lavora là, nelle carceri.

Eravamo persone molto sociali, non avevamo molto interesse per le questioni economiche. La casa era molto grande, per cui c’era spazio per tenere diversi figli; ci siamo promessi che alla nascita dei figli, nel caso che fossero venuti, io avrei lavorato di più, facendo un lavoro e mezzo, per permettere a lei di stare a casa con i ragazzi, e lei avrebbe lavorato mezza giornata, per una sua dignità economica, per acquisire una sua capacità di confrontarsi col mondo. Infatti, io lavoravo a scuola (sono insegnante) ma anche per suo padre, dove lei stessa ha lavorato per vent’anni. Con questa strategia è andato tutto meravigliosamente bene, anche nel corso del tempo.

Dopo tre anni di matrimonio è nato il primo figlio. Era podalico, quindi mia moglie ha vissuto i problemi che si verificano sempre in questo caso; e devo dire che in questa occasione qualche squilibrio c’è già stato. Lei era stata male, e dopo, quando è nato il bimbo, ci sentivamo un po’ diversi, perché di tutti gli altri amici nessuno aveva avuto questo problema. Però ci si voleva bene: abbiamo fatto il primo maschio con il taglio cesareo, e poi, dopo poco tempo, è arrivata anche la seconda, che era una femmina; così avevamo già la coppia ed eravamo felicissimi. Anche con la piccola è stato un taglio cesareo, perché la bimba era molto grande, mentre mia moglie è piccolina. In quel periodo facevamo delle cose anche abbastanza ruspanti: andavamo in montagna con i figli, facendo saltare loro qualche giorno di scuola.

ndavamo in Trentino, usando una serie di escamotage per poter pagare le vacanze. In realtà non avevamo mai tanti soldi, eravamo sempre abbastanza disperati, nonostante i miei suoceri avessero delle grandi proprietà. In ogni caso, io una volta all’anno facevo un regalo a mia moglie: sapevo che le piacevano i vasi antichi e allora le regalavo dei vasi da farmacia. Spesso poi davamo delle feste in giardino da me e chiamavamo degli amici musicisti. Dopo il secondo figlio, comunque, il peso della famiglia si cominciava a sentire: io lavoravo 12-13 ore al giorno, lavorando anche nell’azienda di famiglia con suo padre, con cui avevo un buon rapporto. Tutto è andato abbastanza bene; c’era qualche scricchiolio, come in tutte le famiglie, ma eravamo felici insieme. 

Poi mia moglie è rimasta incinta del terzo figlio. Dal secondo mese di gravidanza hanno iniziato ad esserci dei problemi seri: tutti i test segnalavano che c’era qualcosa che non andava bene. A questo punto noi avevamo già un maschio e una femmina, e quindi la parola che non si voleva dire, che rimaneva sospesa in aria era “aborto”. L’atmosfera in casa si è fatta sempre più tesa; siamo andati avanti fino al quinto mese, e la frase che lei ha pronunciato un certo punto è stata “Guarda tu se io devo partorire un figlio morto”. Perché sai, se ti inducono un aborto, il feto viene espulso, viene partorito. Per lei, avere fatto due tagli cesarei e mai un vero parto era stata una sofferenza, e questa frase rimaneva sospesa in aria tra di noi. L’ultimo giorno possibile per decidere se abortire abbiamo fatto una visita morfologica molto importante, con uno grande specialista, costosissima tra l’altro: e alla fine il suo responso è stato che probabilmente il bambino sarebbe stato diabetico e anche la madre sarebbe diventata diabetica. Solo qualche complicanza, insomma, niente di terribile; quindi abbiamo comunque deciso di tenere il bambino. E alla fine, in realtà Paolo non ha mai avuto nessun problema: è nato normalissimo: quindi ci sono stati una serie di errori uno dietro l’altro. Ti lascio immaginare che frenesia c’era in quel periodo. Tra di noi non c’erano più rapporti fisici, c’era una tensione enorme in casa, e per sopportarla ci concentravamo sui ragazzi. Sì, in quel momento ha iniziato a cambiare tutto, perché mia moglie non è più tornata al lavoro e ha iniziato a non essere più lei, ha avuto un mezzo esaurimento nervoso. 

E’ a questo punto che la tua storia è entrata in crisi?

Da questo momento ha iniziato a cambiare tutto. Tanti amici mi hanno consigliato di mandarla in palestra, per farla svagare un po’. Io l’ho spinta ad andare in palestra con delle amiche (anche se col tempo ha litigato anche con loro). Così, alla fine, è andata in una delle palestre vip della mia zona, e così ha iniziato a scomparire: stava a casa qualche giorno, poi andava in palestra e rientrava alle 5 del mattino, oppure non rientrava affatto. E intanto io avevo tre figli piccoli da portare avanti. Io credevo che le cose potessero continuare, in qualche modo: ho provato anche a parlargliene, ma lei era sempre sfuggente. Le dicevo: so che hai delle relazioni fuori (perché poi le cose si sapevano), capisco che il momento è un po’ particolare, se vuoi ne parliamo. Io son disposto ad accettarti. Ma lei ritornava tardi, non rimaneva più al piano dove dormivamo noi, andava su in mansarda, non entrava neanche più nella stanza dei bambini per guardare come stavano.

La prima avvisaglia pesante è arrivata quando una sera ho dovuto chiamare la sua amica del cuore, che era una scapolona, alle 23, perché avevo i due figli grandi con 39 di febbre, con l’otite, e avevo anche da badare al piccolino. Mio fratello era lontano per lavoro con mia cognata, mia madre non mi sentivo di disturbarla, e allora ho chiamato lei per dirle “dammi una mano, vieni a casa”. Quando ha risposto, con tutto il rumore della discoteca, mi ha detto: “Quando i figli sono con te sono c**** tuoi, io son fuori e mi voglio divertire”. In quel momento ho cominciato a preoccuparmi veramente, perché mi sono reso conto che stava perdendo l’amore materno. Un conto è se la donna perde l’amore per il marito; ma vederla perdere l’amore per i ragazzi, che erano ancora piccoli, è stato agghiacciante. 

I nostri figli avevano sempre delle otiti pesanti: siamo andati da un omeopata, e il suo parere è stato che dovessero essere operati di drenaggio timpanico tutti e tre, ma che se li avessimo portati alle terme per un po’ di anni forse le cose sarebbero andate meglio. Così abbiamo iniziato a portare i bambini alle terme. Il primo anno siamo andati insieme, ma lei ha fatto un casino, non riusciva a stare con noi; il secondo anno ho portato mia madre perché lei non voleva venire; il terzo anno ha voluto venire lo stesso, perché si sentiva in colpa, ma ormai le cose non funzionavano più. Lei non ha mai accompagnato me e i bambini dentro gli stabilimenti termali: ormai era distante dal nostro mondo, dal mondo della famiglia. La situazione le pesava; e così, dopo tre giorni, ha deciso di tornarsene indietro. Allora, mentre faceva la doccia ho guardato il suo telefonino, e c’era evidentemente un messaggio di un amante che l’aspettava a casa. Prima di andarsene via ha raccontato a tutti i vicini di ombrellone che andava a curare suo padre, che aveva un tumore. Io, al nostro ritorno, ho parlato con mio suocero, che aveva davvero avuto un tumore, ma in passato, e più volte gli ho detto che sua figlia ci aveva lasciati per tornare a fare una sua vita con altri uomini. Gli ho parlato sinceramente, perché avevamo un bel rapporto, e gli ho chiesto “Non le dici niente? Tua figlia ha usato il tuo tumore come scusa per abbandonare i tuoi nipoti che si stavano curando.” Ma lui mi ha risposto: “Ma cosa posso dirle?” e in quel momento mi sono reso conto che da lui non avrei avuto nessun aiuto. Ero rimasto da solo, con tre figli, e dovevo per forza sacrificarmi. Ho iniziato a ridurre tutta una serie di attività, proprio per stare più vicino a loro. I ragazzi naturalmente erano sballati: cercavo in tutte le maniere di uscire anche con delle altre persone, ma non è stato semplice. 

Un altro episodio dei primi tempi in cui lei iniziava a frequentare la palestra è questo. Un giorno di luglio sono tornato a casa alle 14:00, con un caldo terribile, perché mi mancava una chiave inglese particolare per fare un lavoro, e ho trovato i miei 3 figli davanti alla televisione in pigiama. Ho chiesto loro dove fosse la mamma, e loro mi hanno risposto: “la mamma ha detto di non dirti niente”. Aveva detto loro che andava dal nonno; ma io stavo lavorando proprio per il nonno… Ho capito la situazione; ho chiamato mia madre perché rimanesse fuori a guardare la casa e a guardare che non succedesse niente, e ho lasciato lì i ragazzi. Sono andato alla palestra, e lei era in piscina, in mezzo a due uomini, che prendeva il sole, mentre aveva lasciato chiusi in casa i figli. Non aveva più l’amore materno. Ho aspettato la sera, sono tornato a casa, e lei ha fatto finta di niente. Quando alla fine le ho mostrato le fotografie che avevo fatto ai ragazzi da soli in casa, abbiamo iniziato a litigare, e alla fine lei è scappata via ed è stata via tre giorni. 

Ad un certo punto, tramite alcuni amici, è arrivata la notizia che lei aveva una relazione stabile con un pregiudicato. Uno che è stato in galera per droga. A quel punto ne ho parlato anche con lei, le ho detto: “So che frequenti quest’uomo, ma per lo meno proteggiti, perché non è una bella persona”. Lei negava, negava, negava sempre. Però era sempre più assente anche in casa. Ero abbastanza disperato, ma pensavo: tengo duro, spero che rinsavisca. Purtroppo però quel suo compagno interferiva con la vita dei miei figli. Un venerdì sera, mentre ero alla visita medico-sportiva di mia figlia, lei mi ha chiamato in ospedale, gridando per farmi tornare a casa. Quando siamo arrivati a casa, alle 8.45, sì è presentato lui, fuori dalla porta, e ai miei figli ha detto: “Venite bambini, che vostro padre non vi fa neanche mangiare! Uomo di m****, vai fuori dai coglioni, che questa adesso è casa mia”. Quella in cui avevo lavorato undici anni con mio padre. Ho parcheggiato la macchina e ho camminato per quattro ore dalla rabbia. Quell’uomo ha anche aggredito mia madre. L’abbiamo denunciato tre volte, ma non è successo niente. La prima volta che siamo andati in montagna con OP (era l’ultimo dell’anno), mia madre è andata a trovare un’amica vicino alla vecchia casa per farle le condoglianze perché le era morto il marito. Quando è ripartita, lui stava uscendo da casa mia: l’ha vista, e ha pensato che fosse lì per spiarlo, quindi l’ha rincorsa, ha picchiato sulla macchina, l’ha chiamata vecchia spiona. Mia madre ha preso ansia e ha dovuto andare avanti due mesi con gli ansiolitici. Siamo andati dai carabinieri a denunciarlo, però tutto quello che ci hanno detto è stato: “Signora, non passi più di lì, cambi strada.” Mia madre era sconvolta, e a me montava la rabbia. 

Col tempo, la relazione tra mia moglie e mio figlio maggiore ha cominciato a deteriorarsi. I ragazzi passavano il loro tempo attaccati al telefono, non uscivano più di casa, e così un giorno mi è capitato di togliere il telefono a mio figlio grande: gli ho detto “Te lo rendo domani mattina”. Quando sono uscito per prendere sua sorella lui ha mandato un messaggio alla madre. Non so cosa le abbia scritto; ma quando sono rientrato in casa sono arrivati i carabinieri, senza nessun mandato. Li volevo mandare fuori, ma loro sono entrati lo stesso. Se una madre muove una segnalazione di percosse o violenza domestica, con lei non presente, i carabinieri intervengono e possono entrare anche senza mandato. Allora sono entrati in tutti i locali: c’era mia figlia sotto la doccia e gli altri erano in camera, e sono scoppiati tutti a piangere. Poi il grande ha confessato di avere mandato il messaggio alla madre. Alla fine sono andati via, perché hanno capito che non era successo niente. In quell’occasione il grande ha capito di essere stato manipolato dalla madre, e da quella volta è come se la frittata se fosse stata girata. Lui ha cominciato a litigare con sua madre spesso, e me non piaceva questa situazione. 

La cosa è degenerata una mattina, che ero a lavorare abbastanza distante da casa. Mio figlio mi ha telefonato, dicendo che la madre non voleva portarlo a nuoto (lui è nuotatore agonista). Gli ho detto che sarei tornato in tempo per portarlo io in piscina per le 14. Ma alle 11,30 la vicina mi ha chiamato dicendomi: “Ci sono i carabinieri e l’ambulanza sotto casa tua. Pare che tuo figlio litigando con la mamma si sia buttato dal balcone”. Ho detto alla vicina “vai a vedere cos’è successo”, poi ho chiamato mio fratello e ho chiesto anche a lui di andare. Mio fratello ha visto i carabinieri che parlavano con mia moglie, il suo compagno e i miei suoceri e ha detto: “Ho il padre del ragazzo al telefono”; ma i carabinieri gli hanno risposto: “ma no, il padre è qua.” Il compagno di mia moglie si era fatto passare per suo padre, e mio suocero gli aveva retto il gioco. Sono corso in ospedale e ho incontrato mio suocero: gli ho urlato contro, gli ho chiesto perché non mi avesse chiamato, e lui ha risposto “mi hanno detto di non chiamarti…” Urlavo come un matto. Quando alla fine sono riuscito a parlare a mio figlio, lui mi ha detto “Papà, ho fatto una cazzata… di solito scappo dalla finestra al primo piano, ma questa volta sono uscito al secondo piano, sono scivolato e mi sono fatto male.” In quel momento sono arrivate le psicologhe. Avevo già detto che c’era stata un’interferenza di questa persona e anche di mia moglie, che avevano litigato. Di fronte a me e alle psicologhe, sbigottite, mio figlio ha detto: “la mamma mi chiude spesso in casa”. Allora la cosa è stata segnalata al tribunale dei minori, ma non è servito a niente. Dopo 10 giorni di ospedale il ragazzo è tornato a casa e il tribunale ha deciso che ormai il ragazzo stava bene; siccome erano carichi di pratiche non potevano occuparsene. Mi sono reso conto in quel momento che non c’era più possibilità di avere aiuto dalla legge, che le cose non sarebbero cambiate. 

Come è proseguita la vostra storia? 

La mia ex moglie mi ha fatto arrivare la convocazione per una separazione giudiziale: aveva dichiarato che io avevo un amante (così avrei dovuto mantenerla), ma era una cosa completamente falsa. Io non ho mai neanche pensato a farmi un’amante: anche quando tornavo dal lavoro alle 22 e non vedevo i figli perché erano già a dormire, pensavo: ho quasi finito di pagare il mutuo, ho la macchina, ho una bella casa, ho tre figli che dormono, ho dei lavori; le cose non vanno così male, cosa voglio di più dalla vita? Questo anche se la passione tra me e lei si era persa. Ma è arrivata questa giudiziale, e ho dovuto andare dall’avvocato. Lui mi ha consigliato, per salvarmi e non perdere la casa, di prendere un investigatore privato per dimostrare che invece era lei ad avere un’amante. L’investigatore è riuscito a fare delle fotografie in cui lei si faceva rinchiudere all’interno del bagagliaio di una macchina per nascondersi. Mi sembrava di essere finito in un poliziesco come quelli del commissario Montalbano.

Alla prima udienza della giudiziale si entra separati. Lei è entrata per prima, e dopo un quarto d’ora è uscita piangendo. Poi sono entrato io, e già mentre mi stavo sedendo il giudice, che era molto in gamba, mi ha comunicato il fatto che sarei uscito io di casa, nonostante la casa fosse mia. Allora ho chiesto: “Ma lei si fiderebbe di una persona che si fa chiudere nel bagagliaio di una macchina dall’amante?” Il giudice non sapeva di cosa stavo parlando, non aveva letto la relazione dell’investigatore; e pensare che questo è uno dei giudici che è stato più presente. Allora ha guardato le fotografie e ha fatto richiamare mia moglie. Nel momento in cui si stava sedendo le ha chiesto se conoscesse la persona presente nelle fotografie. Lei ha negato tutto e ha dichiarato che era soltanto un amico della palestra: a quel punto, il giudice ha disposto la CTU. Dopo la CTU mi ha contattato il mio psicologo, e mi ha detto: “Anche lo psicologo di tua moglie, la psicologa del tribunale e tua moglie sono d’accordo: hanno convenuto che lei ha avuto una regressione adolescenziale. Tra una settimana ci sarà l’udienza, affideranno i ragazzi a te”. Alla successiva udienza però, mentre salivamo le scale del tribunale, l’avvocato mi ha comunicato che, siccome avevano unito insieme quattro tribunali, c’era stato un turn over di giudici abbastanza pesante, e il giudice era cambiato; ma con la CTU in mano era tranquillo, non avrebbe dovuto cambiare niente. Nell’udienza mia moglie ha dichiarato di essere d’accordo di lasciare l’affidamento dei figli a me, e che voleva soltanto una certa somma di denaro, per potersi prendere un suo appartamento. Eravamo tutti d’accordo, insomma. Sono passate due settimane, ed è arrivata la sentenza: hanno sbattuto fuori di casa me. Il giudice non aveva tenuto conto di nulla, non aveva letto neanche la CTU. Ho un’amica magistrato, e lei mi ha spiegato le indicazioni del Tribunale di Milano: in ogni caso i figli vanno alla madre. Abbiamo fatto subito ricorso, ci siamo trovato un altro giudice, ma anche questo non aveva letto neanche il ricorso, e in cinque minuti ha confermato la sentenza. In tutto abbiamo fatto nove udienze con cinque giudici diversi, ed è stato tutto inutile.

Questo è stato il punto più basso della mia storia. Sono uscito di casa con quattro cartoni, perché non potevo portarmi dietro niente, non avevo un posto dove andare; per fortuna, mio fratello si è fatto avanti e mi ha ospitato nella sua lavanderia. Alcune cose, lo stereo, i dischi, che non potevo portarmi dietro, le ho messe nel garage di mia madre. In quel periodo ho visto una trentina di case, cercando di tenere la testa impegnata. Ogni due settimane vedevo i figli e li portavo da mia madre: facevo finta di andare a dormire sul divano, ma in realtà andavo a dormire da mio fratello, poi alle 6 mi svegliavo, cambiavo casa e facevo finta di essermi appena svegliato sul divano. Era un delirio. Mia madre, che è molto anziana, non ha capito: era sempre vicina ai miei figli e parlava male di mia moglie con loro. Aveva digerito molto male questa cosa, anche perché la nostra casa l’avevamo l’avevano finanziata in buona parte loro. Dopo due mesi a casa di mio fratello (che ringrazio) era ora di trovarmi una casa. Tramite mia madre, che ha parlato con una amica, ho trovato la casa di un vecchietto, che era in casa di riposo da due anni, con la demenza senile, e adesso è morto di covid. La sua casa era un alloggio di 50 metri quadri: un’accozzaglia di cose varie, pane ammuffito, c’era odore di urina, era chiusa da due anni. I proprietari mi hanno detto: “se la sistemi ti facciamo un affitto di favore”: così l’abbiamo sistemata, io e i miei figli. Io sono entrato con quattro cartoni in quella casa; e anche la vita del pensionato che mi ha lasciato la casa era tutta contenuta in quattro cartoni, che ho messo nel garage, e che sono ancora là. Nessuno è mai passato a prenderli, una cosa molto triste. Anch’io ero disperato. Entravo nelle stesse condizioni, mi sentivo niente, con nessuno che ti ama, nessuno che ti cerca più. I figli erano piccoli e non capivano: con la madre avevano una casa di 200 metri quadri con giardino, veranda, camino, calore, mentre da me trovavano un cortile triste con la casa sulla strada, con le sbarre alle finestre. 

Come hai superato la crisi? 

La situazione era terribile, però piano piano ci siamo tirati fuori. Nel cortile erano tutti giovani: abbiamo conosciuto persone, gli amici hanno cominciato a regalarmi chi i piatti, chi la vernice, e ho cominciato a verniciare la casa con i miei figli. Il grande mi ha dato una mano a montare i mobili comprati su Subito ed è venuta fuori una casetta carina, di 50 metri, con un soppalco. Siamo andati avanti tre anni e mezzo, e intanto abbiamo coinvolto tutti gli abitanti del cortile: abbiamo fatto una festa, portato dei gruppi a suonare… quello che facevamo prima insomma, una vita quasi normale. In tutta questa avventura ho passato un periodo buio in cui mi sono spaventato anche dei miei stessi pensieri. Arrivavano notizie di altri padri separati che avevano ucciso la moglie; e dopo queste vicissitudini ho cominciato tra me e me a giustificarli, così mi sono spaventato. Mi sono detto: non posso essere diventato così. Mi sono reso conto di essermi troppo concentrato su questa storia, non vivevo più, ce l’avevo in testa tutti i momenti. Sul lavoro non ero più lucido. Sono stato costretto a fare un secondo lavoro, perché dovevo pagare gli alimenti alla mia ex, l’affitto, e in più pagavo le spese straordinarie che lei non pagava. Avevo anche una fissazione sui ragazzi: volevo che non gli mancasse niente, ma alla fine mi sono accorto che per loro ero io a mancare! Lavoravo come una bestia, facevo di tutto per i miei ragazzi, però io per loro non c’ero più.

A causa di questo desiderio di essere amato, di essere considerato, mi sono subito innamorato di una collega di lavoro che era single. Era una insegnante di ginnastica, fisioterapista, attiva, un po’ quello che era mia moglie: allora mi sono reso conto che all’inizio cercavo una sostituta di mia moglie, e mi crogiolavo in questo sentimento che non poteva sfociare in niente. Ma solo il fatto di pensare a lei, di scambiare delle parole con lei mi faceva sentire vivo. Lei mi cercava al telefono, mi faceva sentire che ero ancora desiderabile, che aveva piacere di parlare con me. Una volta siamo andati insieme a fare sci di fondo e abbiamo passato la notte insieme, in due letti separati. Nell’andar via lei ha cercato di baciarmi, ma io mi sono ritratto; in quel preciso momento ho capito che ero rinato. Lei ci è rimasta male, non se l’aspettava, si aspettava che io ci stessi, avevamo anche preso la stanza insieme… Ma in quel momento ho capito realmente di essere di nuovo in gioco; e allora la mia vita è ripartita. Sai, a poco a poco ritrovi fiducia in te stesso, nell’amore e in tante altre cose, e allora le cose cominciano ad andare sempre meglio. E allora, come prima cosa mi sono preso qualche soddisfazione: ho cominciato a camminare di nuovo in montagna, a uscire in bicicletta, a fare cose che ormai non facevo più; che avevo desiderato e avevo sepolto per stare dietro la famiglia. Sono ritornato a considerare un po’ di più me stesso, e quindi anche con i ragazzi ho smesso di parlare male della madre e i rapporti sono diventati molto più sereni.

Sai, in condizioni come queste finisci per giudicarti in maniera tremenda, ti senti inutile. Io non ho mai pensato al suicidio, ma ho degli amici in difficoltà, e ho visto chi si è buttato sul bere, chi ha fatto altre brutte avventure… poteva andarmi molto peggio. Ho avuto fortuna nel trovare di fianco a me non solo OP ma anche tante persone che mi hanno dato una mano. Con tre figli diventa molto complesso muoversi, e anche i costi aumentano. Anche mio fratello ogni tanto mi aiuta, anche con dei soldi, perché ha visto che sono in difficoltà. Io per orgoglio ho sempre cercato di fare la vita sempre per conto mio; ma lui mi ha detto: “sei in difficoltà, devi vivere… hai cinquant’anni, prendi questi soldi e fai finta di niente, devi calare l’orgoglio.” Sai, è più facile dare che ricevere; almeno, per me è sempre stato così. Io non ero molto vicino a mio fratello, avevamo vite diverse; invece, lui e i miei amici si sono avvicinati, per darmi una mano. Allora finalmente capisci che esiste la solidarietà. Il mio capo mi ha praticamente obbligato a iscrivermi ad OP. All’inizio pensavo che fosse una setta; pensavo che fosse piena di sfigati e mi dicevo: cosa ci faccio qui io? Ma in realtà sono riuscito a far fare ai figli le stesse cose di prima, e anche di più; ed è questo che mi ha convinto. La prima volta che siamo usciti con OP siamo andati in montagna per capodanno: c’era Bruno, si dormiva con tutti gli altri, tutti erano stupiti di vedere un papà con 3 bambini sempre attaccati alle gambe perché erano molto timidi. Piano piano la cosa è cresciuta, si è creata una bella comunità, e da lì c’è stata la riapertura anche per loro.

Come vivono oggi i tuoi figli? 

In realtà, i ragazzi si adattano molto di meglio di noi ad avere due case, e a fare le cose con i genitori divisi. Anzi, ne approfittano perfino, un po’ da una parte un po’ dall’altra: hanno doppie vacanze, doppia casa, anche se comunque la mia ex non ha lasciato le chiavi ai ragazzi neanche adesso che sono maggiorenni. Non è giusto parlar male dell’ex coniuge, perché puoi mettere in cattiva luce l’altra persona con cui vivono i tuoi figli. Noi abitiamo a 150 metri di distanza; per fortuna ho trovato questa casa così vicina, così loro possono andare e venire quando vogliono. 

Con il figlio grande il mio rapporto è diventato molto intenso: infatti, a 16 anni è venuto nella scuola superiore dove insegno io, dopo due anni fatti in un’altra scuola. Un’altra delle cose alle quali bisogna stare molto attenti, per esempio, è questa: quando mio figlio doveva decidere in che scuola andare, mia moglie l’ha iscritto senza concordarlo con me in una scuola diversa (a ragioneria) in modo che non mi incontrasse e non potesse venire dove lavoro io. Il ragazzo aveva subìto; non aveva più personalità, era rimasto succube di questa storia. Dopo due anni per fortuna ha capito, e ha chiesto di cambiare scuola, così è venuto da me. Non per me, ma perché la sua indole tecnica è venuta fuori. Il fatto è che, prima, non aveva il coraggio di andare contro alla madre, che decideva tutto per lui. Diciamo che era succube delle scelte della madre: dove andava il suo compagno andavano anche loro. Facevano tutto in funzione del compagno di mia moglie, perché era lui che comandava. Ma quando il ragazzo veniva con me si trovava in una situazione diversa e migliore. Ormai lui fa l’università e non sta più dalla madre, viene da me tutti i giorni. Sto chiedendo al giudice che lui venga a vivere da me. Siccome la madre fa ancora dei ragionamenti infantili, lui non si trova più bene con lei; e poi ci litiga spesso. Gli ho chiesto perché non fosse venuto a vivere da me prima, e lui mi ha risposto: “Sai papà, da lei ho una stanza tutta per me, mi faccio i fatti miei, la mamma non mi rompe le scatole… qua invece tu mi metti un sacco di regole, dormiamo in tre in camera…” Adesso comunque, per fortuna, ho cambiato casa, perché il mio ex vicino di casa è andato a vivere a Parigi e mi ha proposto di tenergli la casa, che aveva una stanza in più della mia. Io gli ho detto che non avevo i soldi per pagare l’affitto. Lui dapprima si è offerto di darmelo anche gratis, ma gli ho detto che così mi sarei sentito umiliato; allora lui ha deciso di farmi pagare lo stesso affitto che pagavo prima. In questo modo almeno abbiamo 90 metri quadri per noi tre, col terrazzo e il doppio bagno. Anche da cose come queste si capisce che la solidarietà tra brave persone esiste ancora.

Naturalmente, quando i ragazzi diventano grandi, si rendono conto che ci sono delle situazioni in cui hanno delle preferenze. Per esempio, ora che il grande è sempre da me, anche con gli altri passiamo sempre un’ora, un’ora e mezza dopo i pasti a chiacchierare. Anche se lavoro dieci ore al giorno, la sera si mangia sempre insieme, ormai è un’abitudine; e poi si sta a chiacchierare, anche a farci delle confidenze importanti. Ci facciamo un sacco di risate; cosa che prima, quando c’era la rabbia, non succedeva. Questa cosa è bellissima: loro ti raccontano anche i loro amorini, le loro stupidate… Ottieni più confidenze se sei sereno. Il prezzo della serenità sono comunque tanti anni di dolore. Ci passiamo tutti quanti, nel tritacarne …

Cosa vorresti dire a chi, come te, sta vivendo questa esperienza?

Di fronte ai ragazzi anch’io ho fatto diversi errori, errori che non bisogna mai fare: quello di parlare male della madre, quello di litigare pesantemente di fronte a loro. Tieni conto che diverse volte finivo di uscire anch’io di casa dopo le litigate, perché a volte addirittura mi picchiava, oppure trovava altri modi di umiliarmi, anche di fronte a loro. Vedevo gli occhi dei bambini quando lei mi colpiva: avevano gli occhi sgranati, m’immaginavo chissà cosa pensavano, cosa provavano…

Pian piano, il rapporto con i miei ragazzi è stato recuperato: in un primo tempo, quando ero molto arrabbiato e parlavo con loro, parlavo male della loro mamma. Poi c’era anche il problema di mia madre: loro frequentavano spesso la nonna, che mi dava una mano, e lei non perdeva occasione per parlar male della mia ex. Le cose sono cambiate proprio quando sono tornato a fare le cose che mi piacevano: ho ricominciato a uscire in compagnia quando i ragazzi non c’erano, oppure uscivamo con OP, tutti quanti insieme. E poi, appunto, ho trovato delle compagne per breve tempo; non relazioni stabili, perché con due lavori e tre figli è un po’ difficile… però, insomma, sono tornato quasi a fare una vita normale. E allora mi sono messo a parlare chiaro con mia madre e con tutti e a dire: basta, non dobbiamo più pensare alla mia ex moglie e a tutte le cose che sta facendo, sono affari suoi. Quando i figli sono con noi lasciamoli liberi. Solo allora le cose sono cambiate, soltanto quando sono stato io a cambiare davvero atteggiamento.

Devo dire che a questo punto sono quasi contento di essere separato, perché sono tornato a fare tante cose che avevo lasciato a metà strada. Non è che le cose che faccio adesso siano migliori di quelle che facevo prima, perché ho fatto 15 anni fantastici con la mia ex. Però ora che sto meglio va tutto bene. Ora sono diventato un riferimento per tutti i miei colleghi, perché piano piano si stanno separando tutti… in Lombardia ormai ci sono più divorziati che sposati. Siccome ho l’esperienza di tre figli, vengono spesso a trovarmi e chiedermi consigli. E io consiglio sempre: “cerca di tornare a fare le tue cose, i tuoi hobby, e non parlare male della tua ex, cerca di tenere fuori i figli, non fare gli stessi errori che ho fatto io in passato”. 

Mi dispiace aver messo in brutta luce mia moglie, con cui ho passato 15 anni molto belli. Ma la mia storia è stata questa.